strade-itinarranti
../../images/imgProvvisorie/Via-Francigena_Em.Romagna_Fidenza-Fornovo-1080x719.jpg
../../images/imgProvvisorie/Luca-Bruschi.jpg

La via Francigena: Il cammino come evoluzione della persona

Intervista a Luca Bruschi – Direttore Associazione Europea delle Vie Francigene

../../images/icone-percorsi-1.svg ../../images/icone-percorsi-2.svg ../../images/icone-percorsi-3.svg ../../images/icone-percorsi-4.svg ../../images/icone-percorsi-5.svg

Come definirebbe, dal suo Osservatorio, il turismo esperienziale e non convenzionale? E che caratteristiche ha rispetto ad altre tipologie di turismo?

Se prendiamo la definizione da manuale, si tratta di qualsiasi viaggio immersivo che ti porta a contatto con culture locali, esperienze locali, cibo, e così via; quindi, c'è un tema di immersione profonda in una realtà, in un contesto. Dall’osservatorio che ho la fortuna di seguire da ormai quasi vent’anni, la persona che si avvicina all’ambito esperienziale non vuole essere un turista; il viaggio esperienziale, dal punto di vista del cammino che caratterizza Via Francigena, è un viaggio che va al di là della lentezza, ma che porta anche a un’evoluzione personale e a recuperare una dimensione importante che è quella del tempo. Ecco, se lo dovessi definire anche un po’ romanticamente, è un turismo in cui al centro c’è la persona, ma anche l’incontro, l’ascolto con le comunità locali. Questi aspetti calzano perfettamente alla tipologia del turismo di nicchia dei cammini. Cosa intende nello specifico per “incontro”? “Incontro” proprio come approccio diverso che si può instaurare con le comunità locali. Spesso si crea un’osmosi importante fra chi accoglie e chi arriva non da turista, ma perché si vuole immergere in quella realtà. È quella dimensione per cui ti viene voglia di fermarti, di parlare, di chiacchierare, di vivere in maniera “libera”; si vive l’esperienza con molta più leggerezza, ma allo stesso tempo mettendo al centro la persona e l’umano mette al centro anche l’equilibrio psico-fisico, ed è un qualcosa di molto diverso dalla tipologia di turismo che tende a massificare le varie esperienze. Ecco, questa è la declinazione che io immagino per il tipo di viaggio di cui ci occupiamo noi.

Sempre dal suo osservatorio relativo alla Via Francigena, come vede e come descriverebbe il sistema del turismo dei cammini in Italia?

Penso innanzitutto che non siano né turismi né probabilmente nemmeno dei semplici viaggi, ma dei lunghi processi di formazione, di trasformazione interiore. In fondo, un’esperienza di questo tipo cosa fa? Solitamente cambia le persone; certo, non se viaggi due o tre giorni, ma già dopo 7-8 giorni una persona che cammina con questa modalità, se affronta il viaggio con questo spirito, allora poi davvero si può aprire a una dimensione di scoperta interiore. Solo per il tratto italiano della Via Francigena, dal Gran San Bernardo a Santa Maria di Leuca sono 90 tappe circa, vuol dire tre mesi o poco più; è chiaro che è un viaggio che ti cambia. E penso che come vale per la Via Francigena possa valere anche per gli altri itinerari. Poi c’è un altro elemento da tenere in considerazione: il tema della meta, che non necessariamente deve essere religiosa, ma che spesso lo è. I cammini spesso hanno una declinazione religiosa, ma sono percorso da persone che non più del 10-12% dei casi dicono di farlo con motivazioni religiose. E allora cosa ti porta a fare la Via Francigena o un cammino religioso invece che un’escursione anche più bella dal punto di vista paesaggistico sulle Alpi o sulle Dolomiti? Probabilmente è questo tema della meta, dell’avvicinarsi all’assoluto anche per chi non è religioso che fa la differenza; è un aspetto spirituale che puoi trovare solo in un viaggio lento legato al turismo dei cammini e non in altro. Basta vedere cosa succede ogni anni a Santiago de Compostela.

Proprio alla luce di quello che ha detto, qual è allora la relazione che la Via Francigena, ma per esteso i cammini religiosi, ha con il turismo religioso nel suo complesso, che tocca anche altre tipologie d’esperienza come le visite ai luoghi sacri, ai monasteri, alle abbazie, ecc? Come entrano in rapporto queste due dimensioni?

Nel momento in cui è anche un cammino religioso, a prescindere dal fatto che uno sia credente o meno, questa dimensione la senti e la percepisci. Certo, il turismo religioso è anche andare col volo charter a Lourdes, a Medjugorje o a Czestochowa, ma il cammino religioso, lo spostarsi a piedi replicando quello che avveniva mille e più anni fa è proprio qualcosa di completamente diverso. Però sul nostro itinerario, noi abbiamo tante chiese, pievi, eremi, abbazie; sono delle perle che arricchiscono il cammino e che lo differenziano dai sentieri pur bellissimi che possiamo trovare in tutta Italia. Questo è un tema per noi fondamentale, perché ci porta a considerare la questione delle connessioni e delle relazioni tra le diverse forme di viaggio esperienziale. In questo senso, chi fa la Via Francigena, quali altri esperienze (culturali, artistiche, enogastronomiche) predilige? Il profilo culturale del nostro viaggiatore è medio-alto, quindi prima aspetto di connessione è sicuramente tutto ciò che è legato alla sfera del patrimonio culturale e che andrebbe considerato anche in un’ottica strategica da parte di tutti gli enti e gli operatori che si trovano lungo la Via Francigena, perché spesso il pellegrino può trovare la pieve o l’abbazia chiusa e non è che ritorna, prosegue il suo viaggio e si perde la visita. È un tema che dovrebbe interessare anche le singole diocesi, le parrocchie, nell’ottica di accogliere il pellegrino. Poi bisogna distinguere tra chi fa il cammino per un lungo tempo e chi invece fa solo un tratto per 2-3 giorni; questi ultimi sono più propensi a collegare altre esperienze: lo yoga, la degustazione, l’attività sportiva, l’esperienza culturale. Se invece lo fai per più giorni, solitamente hai in mente solo di camminare e al massimo l’elemento importante è l’incontro con la comunità locale e quindi al massimo con l’enogastronomia locale. Il turismo enogastronomico, che sta crescendo tantissimo, s’interseca perfettamente con l’esperienza della Via Francigena.

È come se esistessero dei profili diversi del viaggiatore della Via Francigena. Ecco, quali sono gli identikit di chi fa questa esperienza? Chi è il “Francigeno” tipo?

Innanzitutto, c’è una differenza tra turismo dei cammini e via Francigena come “regina dei cammini”. Perché l’australiano, l’americano o il giapponese se vengono in Italia per camminare, lo fanno per percorrere la Via Francigena prevalentemente, per quello che essa trasmette, e non per fare altri cammini meno conosciuti. Quindi, c’è un primo elemento di forte internazionalità dei nostri viaggiatori. Poi, dopo il Covid, si è molto modificata la tipologia dei “camminatori”; prima era una tipologia più “senior” come pubblico; negli ultimi due anni abbiamo osservato che la fascia d’età prevalente è quella che va dai 25 ai 34 anni, e sempre più spesso mi capita di intercettare anche giovani tra i 16 e i 24 anni. C’è una forte idea di condivisione tra amici, quasi un romanzo di formazione, nel voler percorrere la Via Francigena a piedi (o anche in bici, anche se i numeri sono più limitati). Infine, c’è anche un elemento intergenerazionale molto forte; spesso vedi il nonno percorrere un tratto di strada col nipote. In tutti i casi, c’è questa idea dell’incontro con l’altro, condividere la fatica, la gioia, il pianto, la pioggia, gli abbracci arrivati alla meta è qualcosa che non ha eguali in altre esperienze di viaggio. È una vera e propria trasformazione.

Venendo al tema dell’impatto del turismo dei cammini sull’intero comparto turistico, quali sono le stime, i flussi che caratterizzano questo mondo?

Va detto innanzi tutto che non c’è un sistema di rilevazione statistico che misura il fenomeno. Basandoci sul sistema della distribuzione delle credenziali, che già è importante ma non è certamente statisticamente esaustivo, la stima dei camminatori della via francigena ammonta a circa 50.000 camminatori nello scorso anno. Per quanto riguarda la spesa media, questa aria a seconda della durata: dai 30 a i 40 euro per chi viaggia più di un mese, da 50 ai 60 euro per chi cammina dai 7 ai 10 giorni mentre chi fa solo due o tre giorni ne può spendere anche 100 € al giorno. Stando a questi valori superiamo i 20 milioni di ricadute economiche della sola Francigena. Ricadute che vanno a piccoli comuni la maggior parte dei quali ha meno di 5000 abitanti (e sono circa 400) che sarebbero quasi tutti fuori dai circuiti turistici - quindi aree rurali, aree interne e comuni - che tra l’altro accolgono gli stranieri di tutto il mondo che vengono solo grazie alla Francigena generando per loro un indotto straordinario. A livello nazionale si parla di 123.000 di persone (italiane) che avevano camminato su tutti i cammini d’Italia. Sono dati rilevati da “Terre di mezzo” anch’essi basati sulla distribuzione di credenziali e testimoni.

Che tipo di rapporto si instaura tra la Via Francigena e gli enti locali, sia dal punto di vista strategico-organizzativo che di promozione territoriale?

Direi che c'è una forte sinergia. Il ruolo dell'Associazione europea delle vie francigene è quello soprattutto di mettere in rete gli enti locali e territoriali, come i Comuni e le Regioni che hanno capito l'importanza di lavorare in rete. C'è uno scambio di buone pratiche importanti e le istituzioni sicuramente danno un forte riscontro in merito alla infrastrutturazione, sulla messa in sicurezza, sulla segnaletica. Purtroppo, ci sono ancora alcuni comuni che non hanno còlto l'importanza strategica che la via Francigena ha sul loro territorio, ma sono cose che mi auguro possano maturare col tempo. In generale però il riscontro è positivo; abbiamo un centinaio di comuni soci e anche moto operativi e che ogni volta che fanno delle iniziative sono molto attenti a usare il logo. Sono molto legati al brand e all’identità di Via Francigena.

Come si posiziona a suo avviso l’Italia sul segmento del turismo dei cammini? E quali sono le sfide?

C'è un brand molto forte e una reputazione molto forte a livello internazionale e vediamo che c'è stata un’esplosione in questo senso. I turisti americani che vengono a camminare sulla Francigena ci vengono perché comunque l'Italia già di per sé attira per i motivi che conosciamo. Il fatto poi simbolicamente di arrivare a Roma a piedi o di scendere verso le mete del Sud della Puglia è un qualcosa che ha uno straordinario valore aggiunto che è solo l'Italia può offrire. L’Italia ha una grande opportunità di attirare turismo internazionale perché il cammino è legato anche una forte idea di destagionalizzazione; noi come Francigena lo scorso anno abbiamo fatto il boom ad aprile, tanto per fare un esempio. Cosa fare di più? A pensarci bene, non è un turismo dove occorra investire così tanto; c’è già tutto, ma occorre dare una risposta sui servizi necessari, per cui il percorso deve essere messo in sicurezza, ancora meglio se si cominciasse a lavorare sull'accessibilità, su una cartellonistica che deve essere costante, ci deve essere un segno identitario forte. E qui allora si entra nella programmazione strategica ed è per questo che sono importanti le istituzioni per il tema della manutenzione e anche dell’accoglienza. Non ci servono le catene di alberghi a cinque stelle, mediamente sono sufficienti strutture di accoglienza anche modeste, sobrie, essenziali; quindi, se ci pensiamo bene non è un turismo che necessita di grossi investimenti. La sfida è continuare a mettere in sinergie quelli che sono i pilastri del modello dei cammini: le istituzioni che guidano, poi anche il mondo associativo, le categorie economiche e il mondo accademico e della ricerca.

Come si promuove un brand come Via Francigena? Attraverso quali canali è importante comunicare?

Il passaparola è ancora oggi fondamentale, paradossalmente non servono grandi campagne di comunicazione. Il cinema, la letteratura, i media possono aiutare, ma il passaparola è inarrestabile. Dobbiamo imparare che la Via Francigena deve essere per l’Italia ciò che il Cammino di Santiago è per la Spagna. Certo, loro hanno avuto il film con Martin Sheen o il romanzo di Coelho e questo certamente ha aiutato l’esplosione del fenomeno “Cammino di Santiago”. Il punto è che via Francigena deve essere percepita sempre più come il prodotto bandiera del turismo dei cammini in Italia; noi abbiamo più di cento cammini in Italia, uno più bello dell’altro, ma in questo modo rischi di non creare il vero brand riconoscibile da tutti; e questo è un elemento fondamentale per tutto il turismo su cui stiamo lavorando con il Ministero e con Enit. C’è un tutto un sistema di arterie che sono i cammini, ma ci vuole un pilastro che anche nella comunicazione sia riconoscibile, e questo vale anche poi per la parte svizzera, francese e britannica della via Francigena.

Recentemente è stata resa disponibile su Paramount+ la docu-serie The Journey con Andrea Bocelli, interamente dedicata a un’esperienza di viaggio lungo la Via Francigena. È possibile ricostruire i passaggi fondamentali, i turning points che hanno reso Via Francigena ciò che è oggi, anche nell’immaginario costruito dalla comunicazione e dai media?

Fino agli anni Ottanta, la Via Francigena era una delle tante vie Romee d’Europa, non aveva grande visibilità mediatica e non era nemmeno molto infrastrutturata. Il primo punto di svolta è nel 1993, con la Certificazione Europea delle vie Francigene come “itinerario culturale” del Consiglio d’Europa, grazie all’intuizione del Ministero del Turismo italiano che si fece capofila di questo progetto che ha reso Via Francigena il terzo itinerario europeo certificato. Poi il Giubileo del 2000 ha moltiplicato la notorietà del percorso e nel 2001 l’iniziativa dell’allora sindaco di Fidenza, Massimo Tedeschi (ad oggi presidente) che scrisse a tutti i 145 comuni coinvolti, da Aosta a Roma; in 34 aderirono e divennero i fondatori di questa associazione. Si chiamava “Associazione dei comuni italiani sulla Via Francigena secondo l'itinerario di Sigerico”, quindi, non era nemmeno un granchè dal punto di vista del marketing… Poi divenne “Associazione europea delle Vie Francigene” nel 2005 con l’adesione della città di Canterbury. Un’ulteriore punto di svolta è stato nel 2015 quando la Regione Toscana ha lanciato la campagna internazionale “Una via Francigena dritta al cuore” e ha inaugurato le 14 tappe in Toscana; è un aspetto curioso, perché la Toscana non è una meta d’arrivo del cammino, ma ha cominciato a infrastrutturare le aree di sua competenza, a spendere risorse per ostelli, percorsi, sicurezza, e a fare promozione. Nel 2021 per celebrare i vent’anni della nostra associazione abbiamo organizzato un viaggio evento chiamato “Road to Rome Start Again” che fu davvero il progetto giusto al momento giusto perché era la fase di uscita dal Covid e per celebrare i nostri vent'anni percorremmo tutta la Francigena da Canterbury a Roma, fino a Santa Maria di Leuca in quattro mesi e mezzo a piedi, incontrando i 715 comuni, mantenendo un rapporto diretto con la base territoriale e raccontando il viaggio sui social e sui blog con un effetto “Forrest Gump”, con le persone e le comunità che si univano alla camminata. Poi certamente i documentari con Bocelli o quello straordinario della BBC del 2019 con diverse celebrities britanniche; ecco, una chiave è sicuramente quella di incrociare delle celebrities che possano diventare quasi influencers del nostro percorso, però tutto deve essere coerente coi nostri valori e messaggi. Noi comunichiamo costantemente sui nostri social, sui nostri profili e pagine Facebook, Instagram, X, Linkedin; non abbiamo budget per fare grandi campagne, ma certamente il cinema o le serie tv aiuterebbero a farci conoscere ancora di più.

guarda altre interviste